La SPALLA: Kryptonite dei tennisti

ARTICOLO A CURA DI MATTEO PARINI, giornalista sportivo e paziente di FORMA Poliambulatorio Riabilitativo

Anno 1998, Milano. Per l’atto finale della Coppa Davis la Federazione prepara il Forum di Assago con il campo in terra battuta più lento della storia del tennis, una palude. Un po’ per mettere in difficoltà gli avversari sulla carta meglio attrezzati per le superfici rapide e molto per esaltare l’attitudine terricola che rasenta l’arte di Andrea Gaudenzi, al rientro, però, da una fastidiosa artroscopia alla spalla. All’esordio, in un venerdì che finirà per essere maledetto, l’avversario è Norman, un vichingo che qualche anno più in là raggiungerà la seconda piazza del ranking mondiale, e il match si intuisce fin dagli albori che non sarà una passeggiata. Tennis brutale, più passionale che bello, nel clima da torcida che notoriamente descrive la più importante kermesse per nazioni dove anche il pubblico è differente, quasi calcistico. Nel pomeriggio che diventa sera, benché imbottito di antidolorifici, Andrea soffre le pene dell’inferno proprio per quella spalla non ancora del tutto ristabilita. Dopo cinque ore di braccio di ferro, Gaudenzi, a un passo dal baratro ma sospinto da quindicimila tifosi indemoniati e trasfigurato dal dolore, stoicamente risale la china e scolpisce nel marmo la rimonta. La bordata liberatoria scagliata con il servizio che vale il sorpasso probabilmente decisivo è però accompagnata da un rumore sinistro: il palasport è una bolgia dantesca ma il crack lo sentono tutti. È il tendine della spalla che si spezza in due come un elastico messo in croce dalla ripetizione di tensioni al limite del sopportabile. Sipario.

Il caso di Andrea è forse il più eclatante ma che la spalla possa essere il tallone d’Achille per il tennista è evenienza vecchia almeno quanto il gioco. Pat Rafter, al pari di Gaudenzi, ha di fatto chiuso la carriera perché l’articolazione ha progressivamente perso la capacità di risposta alle sollecitazioni richieste; la chiamano usura, un po’ come per le macchine. Maria Sharapova, per una buona parte di carriera, ha convissuto con il dolore ogni qualvolta è stata chiamata a colpire la palla sopra l’altezza della spalla stessa, i cosiddetti movimenti “overhead”. Una disdetta considerata la meccanica del servizio – il picco più alto dell’attività muscolare della spalla – e dello smash. Più di recente, Denis Shapovalov e Borna Coric, non gli ultimi arrivati, si sono dovuti prendere una lunga pausa per lo stesso motivo, con il croato che è pure finito sotto i ferri per velocizzare una ripresa che sembrava non avvenire mai. Stessa sorte per Eugenie Bouchard, Thanasi Kokkinakis e il nostro Filippo Baldi, tutti alle prese con chirurgia e lunga riabilitazione, ma la lista potrebbe essere molto più estesa.

La spalla del braccio dominante può quindi presentare diverse patologie, tendinopatia, Slap e sindrome da impingement le più frequenti, e la principale causa è la ripetitività del gesto, in uno sport che non prevede un limite alla durata di un match. Il servizio, colpo di inizio gioco la cui importanza capitale nell’economia del tennis è tale da spingere gli atleti a pretendere sempre di più dalla catena muscolare unica che genera e trasferisce la forza dai piedi in spinta al complesso spalla-gomito e fino alle mani che portano la racchetta all’impatto, è quindi il primo nemico dei tendini della spalla. Vien da sé che il corretto trasferimento dell’energia dagli arti inferiori a quelli superiori, con ottimizzazione della cinetica articolare, è garanzia di riduzione del rischio di infortunio all’articolazione stessa. Risultato che può essere perseguito, per esempio, con il rinforzo dei muscoli del tronco, dei muscoli postero laterali e dei muscoli estensori sempre dell’anca. La prevenzione dell’infortunio necessita, pertanto, della considerazione di più aspetti da parte del fisioterapista. L’atleta deve essere educato al controllo della postura, degli appoggi plantari, del posizionamento del bacino, tutto finalizzato a minimizzare gli scompensi di natura biomeccanica. Last but not least, il riscaldamento. Uno studio ha dimostrato che un programma personalizzato possa ridurre a circa un terzo l’eventualità di un infortunio di questo tipo. Il tennis mette a dura prova la spalla per ragioni evidentemente inevitabili. Tuttavia, riscaldamento, perfezionamento della dinamica dei colpi e allenamento muscolare specifico si dimostrano sempre validi alleati. Per finire, un consiglio. Di Andrea Gaudenzi ce n’è uno, emularlo non è una buona idea, è autolesionismo. Ai primi inequivocabili segnali di sofferenza della spalla concedetevi una pausa dal gioco e il fisioterapista vi rimetterà in campo in fretta e in salute.

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